Calzoni corti di un rosso francamente imbarazzante, calzettoni tirati su fino al ginocchio che più in alto non si può, capelli sistemati con criterio maniacale stile "scodella rovesciata", e una faccia da bamboccio tipica dell'età in cui non si è ancora cominciato a fare a botte con l'ego. Questa l'immagine che conservo nella memoria del bambino che veniva fotografato sul terreno di un campo da baseball e che voleva essere altrove. Mio padre giocava allo sport che fu di Babe Ruth da poco meno di una vita. Guantone, pallina, allenamenti, partite, trasferte, pullman, ristoranti, alberghi, borsone da viaggio: se avessi dovuto elencare le parole più ricorrenti del papà atleta in quella stagione della mia vita, avrei cominciato con queste. Insomma, lui era un giocatore di baseball. Io, poco meno di un gomitolo di sogni confusi. Mio padre fece del suo meglio per conquistarmi con la sua passione. Mi regalò tutto il necessario, dal guantone baby alla mazza baby (uno spasso, credo di averla conservata da qualche parte), ma pure la casacca baby (erano gli Yankees?) e il cappellino baby. Mi propose una strada, un'identità, io ne scelsi un'altra. Meglio, su quella strada, l'altra, mi ci trovai per una serie di circostanze che posso inquadrare nella "teoria del complotto", anche se probabilmente molti di voi la conosceranno con altri nomi, il più comune dei quali è "calcio". Non so se rendo l'idea del potenziale delle forze in campo: le partite in cortile nell'intervallo delle lezioni, le figurine Panini, e poi Platini, Maradona, Causio, Scirea, Zoff, la Coppa del Mondo in tv. Come potevo farne a meno? Il finale era già scritto: avrei iniziato a giocare anch'io al calcio, sgomitando con bambocci come me per trovare un posto da titolare nella squadra del quartiere. Il baseball lo riposi in un cassetto, insieme con i sogni di mio padre, ormai rassegnato a vedermi tentare l'avventura tutta lustrini e pailettes dello sport che passavano in televisione. Perché è il telecomando che decide cosa saremo da grandi, ne sono convinto. Sapete come funziona per i bambini, si guarda una cosa che sappiamo essere condivisa e apprezzata e si cerca di ripeterla, per mostrare a sé stessi e agli altri che, tutto sommato, noi siamo proprio bravi. Il mio baseball è stato sconfitto dal telecomando, ma prometto che se un giorno mi proporranno di mettere mano al palinsesto di una rete televisiva, farò il mio dovere: via il calcio, relegato al satellite, quando capita e baseball a volontà, alla mattina, al pomeriggio e alla sera. Scommettiamo che nel giro di qualche mese il numero dei guantoni che vedremo in mano ai bambini supererà di almeno dieci volte quello delle maglie del Ronaldo di turno? Se poi non dovesse accadere, prometto le dimissioni, perché se è vero che niente è impossibile, non si può dimenticare che i ceffoni - quelli che riceverei nel corso della riforma pallonara dai tifosi incazzati al limite dello sfinimento - fanno sempre un certo effetto, spesso non proprio gradevole. Papà, non ti preoccupare, il cassetto del baseball l'ho riaperto da tempo. La casacca baby e il cappellino baby non mi stanno più. In compenso, se ti può far piacere, sulla scrivania c'erano carta e penna...
Dario Pelizzari
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento